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La saggezza del corpo
la saggezza del corpo

Leggendo “Il corpo sa tutto” di Banana Yoshimoto, ho trovato molti spunti di riflessione interessanti. Si tratta di una raccolta di storie ed ogni racconto ha come filo conduttore il tema del corpo.

  • Il corpo ha memoria
    Il corpo è vita
    Il corpo non mente
    Il corpo è il tempio dell’anima
    Il corpo è saggio
    Il corpo è la nostra casa
    Il corpo ci parla

Mi fa venire in mente quello che disse Roger Salomon durante uno dei suoi seminari su EMDR e Lutto: nella partita della vita, è il corpo che tiene il punteggio. Così come scrive Fritz Perls: l’organismo sa tutto, noi sappiamo pochissimo.

Un’esperienza, dopo essere stata vissuta, si trasforma in ricordo. Sia nei bambini che negli adulti, i ricordi traumatici sono immagazzinati in modo diverso dai ricordi non traumatici. I primi, con una forte carica emotiva, si collocano soprattutto nell’emisfero destro, come se fossero congelati in uno spazio e in un tempo diversi dal resto dei nostri vissuti.
Potremmo dire che lasciano delle vere e proprie cicatrici biologiche nel nostro cervello che condizionano emozioni, personalità, atteggiamenti e modi di relazionarci.

I traumi psicologici, ferite dell’anima, sono scritti biologicamente nel cervello e impressi chimicamente nella nostra memoria. Ciò che siamo non può prescindere da ciò che siamo stati, i ricordi vivono nel presente attraverso i neuroni che si riattivano al loro richiamo. Passato, presente e futuro sono inevitabilmente interconnessi in ognuno di noi.

Il passato, più o meno doloroso, non è mai da condannare e da gestaltista lavoro con le persone perché ciò non accada. Certamente il passato non può essere modificato, ma la terapia può aiutare a cambiare il modo con cui ce lo portiamo dietro: quel che è accaduto in passato è stato assimilato ed è diventato parte di noi, oppure ce lo portiamo in giro sotto forma di situazioni irrisolte, ferite aperte, gestalt incompiute.

Di fronte ad un evento traumatico, sono tante le cose che potrebbero essere utili:

  • calmarsi dicendo “il peggio è passato, ce l’ho fatta”
  • stare con persone vicine e di fiducia;
  • ricontattare al più presto familiari e amici;
  • rimandare grandi decisioni o cambiamenti radicali;
  • riposare, dormire, mangiare bene;
  • allentare le tensioni muscolari, respirare bene e lentamente, ricorrere a quanto di utile si conosce per rilassarsi (coccole, massaggi, training autogeno, attività fisica);
  • concedersi del tempo per capire e dare un significato a quello che è successo;
  • non isolarsi, condividere le proprie emozioni e i propri pensieri con persone che hanno vissuto la stessa esperienza;
  • cercare conforto nelle persone care tra familiari e amici.

Il tempo che niente può fermare non scorre solo per piangere sulle cose perdute ma anche per prendere un’infinità di momenti bellissimi, uno dopo l’altro. (Il corpo sa tutto, Banana Yoshimoto).

Da un certo punto di vista, un vissuto di sofferenza ci fa crescere. E’ come interpretiamo il dolore e i modi in cui cerchiamo di far fronte ad esso che fanno la differenza: un dolore è sostenuto se sofferto ed elaborato personalmente; al contrario, è subìto se lo rimuoviamo o ne restiamo schiacciati. Si tratta del “vissuto del dolore”. In questo processo, le persone che ci circondano e le loro modalità di relazionarsi tra loro e con noi sono determinanti.
Può accadere che nonostante i nostri sforzi e gli aiuti da parte di chi ci sta vicino, la sofferenza non abbia fine e che il corpo faccia di tutto per comunicarcelo, attraverso i sintomi. In questi casi, il tempo che passa non è sufficiente a rimarginare la ferita.

Quando il dolore è così intenso e persistente da interferire sulla lucidità mentale della persona, sulle sue capacità relazionali, sulla possibilità di riformulare e portare avanti il proprio progetto esistenziale, esso diventa un male da curare. Se le condizioni di vita della persona diventano per lei non dignitose, esso diventa un male da curare.
Per curare intendo occuparsene, affinché il dolore possa essere ammesso, legittimato, giustificato, compreso e integrato nella propria vita. Perché è un’illusione pensare di poter eliminare velocemente o del tutto il dolore dall’esistenza. Un dolore dilagante può essere contenuto, senza tuttavia sconfiggerlo. Per elaborarlo e perché possa essere integrato nel proprio progetto di vita, occorre trovare parole interne ed espressioni relazionali in grado di renderlo comprensibile a sé e all’altro, in grado di dare senso alla vita nel dolore, in grado di ristabilire il senso del vivere nel mondo senza per questo vivere per il mondo.

Potrebbe allora essere utile iniziare un percorso di psicoterapia, al fine di rientrare nella propria storia per ricomporne il senso e vivere un presente qualitativamente migliore per sé. Hai mai pensato di chiedere un aiuto di questo tipo? Il tuo corpo te lo ha mai suggerito?

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