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La sedia vuota
Un'occasione per dialogare con se stessi
La sedia vuota

Ti stai chiedendo cos’è la sedia vuota?

Potrei definire quella della sedia vuota una tecnica, uno strumento di cui mi avvalgo come Psicoterapeuta della Gestalt. Tuttavia, la definizione che preferisco è quella espressa da uno dei miei maestri, Giovanni Paolo Quattrini, più che una tecnica si tratta di un’occasione. Il terapeuta la imposta, ma è il paziente che la gestisce e l’esperienza che ne consegue appartiene al paziente.

Prendo spunto proprio dal libro di Quattrini, Per una psicoterapia fenomenologia-esistenziale, per raccontarvi con le sue parole, la semplice e al tempo stesso straordinaria esperienza terapeutica della sedia vuota.

Dialogo è scambio

La sedia vuota aiuta a simulare il conflitto interiore della persona, ovvero il dramma che avviene nella sua vita intima e che normalmente è amministrato inconsapevolmente, con modalità acquisite sin dall’infanzia. Esse, però, spesso non sono congrue al set di valori della persona adulta.
La funzione dello psicoterapeuta consiste nell’accompagnare la persona a scoprire un altro modo di organizzare le proprie emozioni in azioni e per questo è importante che fornisca al paziente occasioni di sperimentarsi in contesti diversi.

Per dialogare bisogna essere in due, dice infatti il senso comune, e per dialogare con se stessi bisogna prima diventare due. La metafora di tale operazione è lo specchio. Riflessione è, non a caso, il termine che si una per sul dialogo con se stessi. Se immaginiamo, infatti, il mondo interno come una molteplicità di istanze, appare chiaro come queste si possano ostacolare reciprocamente quando gli interessi dell’una inciampano in quelli di un’altra.

Il metabolismo non riguarda soltanto la chimica dell’organismo, ma anche la vita psichica. E’ scambiando tra loro che le parti interne possono svilupparsi e prosperare. Il dialogo è scambio tra parti interne: dialogando, scambiano tra loro e si dipanano, coordinandosi e formando un insieme che è più della loro somma.
Nel mondo esterno lo scambio avviene fondamentalmente attraverso il denaro; nell’area interna, invece, non circola denaro, perché il proprietario di tutto è comunque la persona stessa. Tra sé e sé non resta allora che lo scambio di azioni, “Io faccio questo se tu fai quest’altro”.
Per mercanteggiare, bisogna capire le intenzioni dell’interlocutore, e per capirle bisogna immaginarle. Per immaginarle, bisogna mettersi nei panni dell’interlocutore, guardando il mondo con i suoi occhi, comprendendo il suo punto di vista.

Lo scambio richiede rispetto

Il riconoscimento delle polarità è fondamentale. Se ci sono polarità, c’è una distanza da abitare. Senza questa, praticamente non succede niente, ovvero non si raggiunge una sintesi, un compromesso tra le parti. Tocca allo psicoterapeuta il compito di far esistere questo sdoppiamento, grazie anche alla sedia vuota. Dialogare è la modalità con cui gli scambi vengono concordati: nella seduta si dialoga contrattando, spiegando e focalizzando vantaggi e svantaggi, proprio come quando si ha un’attività commerciale. Qualità essenziale di tale dialogo è muoversi a carte scoperte. Si tratta di uno scambio che esige un rispetto radicale tra le parti in causa, dato che questo processo interessa la persona nel suo intero.

Qui l’intenzione della parte che parla deve essere palese: che cosa desidera, quanto le interessa e cosa è realmente disposta a fare per ottenere quello che vuole dall’altra parte. In questo processo interattivo il terapeuta ha un ruolo di mediatore che sovrintende alla correttezza dello scambio; come “io vicario” supporta la parte che eventualmente dovesse essere messa in una posizione difficile.

Il qui e ora

Naturalmente, lo scambio intrapsichico di azioni varie non è fine a se stesso, ma si inscrive nel tessuto narrativo della vita della persona, che si trova nella necessità di coordinare il proprio agire in una storia sensata e nella quale si riconosce.
In un approccio fenomenologia-esistenziale, una parte essenziale del lavoro nella seduta consiste nella co-costruzione di una nuova verità narrativa: essa permette al paziente di appoggiarvi decisioni importanti, per le quali nella narrazione già conosciuta non trova un supporto tale da consentirgli di trasformare le proprie frustrazioni, invece di compensarle.

Soltanto nel qui e ora si possono operare i cambiamenti: il passato non è più, il futuro non è ancora. Il qui e ora è quella parte di flusso del tempo abbastanza piccola da poter essere contenuta nella mano del decidere. Il qui e ora è quel tempo in cui si possono correggere gli errori prima di consegnare il compito in classe, in cui si può svoltare da una parte o da un’altra, in cui c’è ancora tempo per il siero se si è stati morsi da un serpente, e in cui alla fin fine ci si può dirigere verso la compensazione o la trasformazione. E’ insomma quel tempo che viene indicato dalla parola “subito”: il lavoro sul qui e ora è il lavoro sul subito, e la sedia vuota è un modo di mettere in scena un subito nel quale prendere decisioni sul che fare.

Da compensazione a trasformazione

Il lavoro che si fa in una psicoterapia ad orientamento fenomenologico-esistenziale non consiste nel risolvere problemi, ma nel trovare il modo di andare avanti ad occhi aperti, facendo appunto esperienza del mondo.
Il problema del paziente non è il fatto di avere un problema, quanto quello di stare fermo su quel problema. Quello che si cerca di fare è aiutarlo a procedere, invece di rimanere aggrappato al problema rinunciando al resto della vita.
In altre parole, se invece di trasformare la situazione problematica una persona tenta di nasconderla, nelle sue storie si trova spesso come paralizzata. Perché possa rimettersi in moto, bisogna che acceda al nucleo emozionale dei suoi comportamenti disfunzionali. Da lì, prendendo strade diverse ma sempre congrue a quel nucleo, riscriverà la storia in modo trasformato piuttosto che compensativo del problema. In questo processo di ri-narrazione, le simulate con la sedia vuota sono una modalità davvero efficace.

Il vuoto diventa spazio

Interiorizzare un conflitto, insomma, significa accogliere ciò che è fuori come una polarità interna, e accettare l’eventuale divergenza con le altre parti. Non potendo essere disconosciute (è questo l’interiorizzare), esse provocano una vera e propria separazione dentro la persona, uno spazio nel quale possono nascere cose nuove. Un vuoto fertile, reso tale dai bisogni, dai desideri, dall’intenzione. Rimane vuoto sterile finché la persona non si rende conto di desiderare, di volere qualcosa.

La posizione richiesta al terapeuta è di indifferenza creativa, un’indifferenza opposta a quella dell’indifferenza comune. Nell’indifferenza creativa ogni risposta è interessante, dato che apre a una prospettiva non immaginabile preventivamente. Oltretutto, pensare in termini di risposte giuste o sbagliate renderebbe ripetitivo il lavoro e meccanica la situazione. Invece, da una posizione di indifferenza creativa, il paziente rimane un mistero, ma un mistero da contemplare come un’opera d’arte, non da svelare come un segreto in un’ottica scientifica.

(Contenuti tratti dal Libro PER UNA PSICOTERAPIA FENOMENOLOGICO-ESISTENZIALE, Giovanni Paolo Quattrini, Ed. Giunti).

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