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Emozioni, contatto e distanza abitabile
La relazione terapeutica
emozioni

“Ma come fai a fare la psicologa? A stare con tutte queste emozioni negative di altre persone? Io non potrei mai farlo”.
Qualche settimana fa mi sono state rivolte queste parole da un ragazzo di 14 anni durante una delle nostre sedute.

Quando sento utilizzare l’espressione “emozioni negative” chiedo subito alla persona quali emozioni ritiene tali da essere così etichettate. Nella maggior parte dei casi la risposta è: rabbia, tristezza, paura, vergogna. La pensava allo stesso modo anche il ragazzo. Queste emozioni sono molto spesso viste, vissute e definite come negative, ovvero da nascondere, tenere a bada, soffocare.

Cosa sono le emozioni?

Sentire è un’operazione che condividiamo con gli animali. Emozioni e sensazioni sono la nostra prima forma di conoscenza. E’ importante diventare consapevoli delle proprie emozioni, perché sono il corredo necessario alla sopravvivenza e ci fanno muovere nel mondo, ci danno la direzione.

E-mozione: E-movere, portare fuori, muoversi verso.

Sono le basi biologiche di pensiero e azione. Saperle gestire equivale a renderle una vera e propria risorsa per noi stessi e per gli altri con cui ci interfacciamo ogni giorno.
Le emozioni influenzano il modo di pensare, di agire, di relazionarsi ad altri, di rapportarsi e vivere l’ambiente, le sfide, le richieste e le aspettative. Anche la persona apparentemente meno emotiva deve fare i conti con il proprio vissuto, magari non consapevolmente. Non farle vedere non significa non sentirle!

Esistono emozioni positive ed emozioni negative?

No! Le emozioni possono essere piacevoli o spiacevoli, ma non positive o negative, giuste o sbagliate. Riconoscere ciò è un primo passo per imparare a gestirle.
Quello che può essere considerato positivo o negativo è ciò che io faccio con una determinata emozione, come la metto in atto. Le emozioni agìte possono porre a rischio la vita sociale e la sopravvivenza.
Essendo le emozioni uno strumento necessario per tutti noi, per riuscire a gestirle bene dobbiamo imparare ad esprimerle e utilizzarle funzionalmente.

Che differenza c’è tra esprimersi ed agire?

Quando esprimo un’emozione parto da me e parlo di me: mi espongo, faccio vedere, attraverso gesti e parole, qualcosa del mio mondo interno. Quando agisco un’emozione, mi sto intromettendo nello spazio altrui, non parlo di me ma dell’altro: sia sul piano verbale, con un insulto, una critica, un giudizio; sia sul piano non verbale, invadendo lo spazio intimo e privato dell’altra persona.

Se le emozioni non vengono espresse, si stratificano e vengono fuori i sintomi, come ad esempio l’ansia, la depressione….o la gastrite! Le emozioni ci mandano messaggi su quello che sta accadendo in quel momento e ci danno la spinta su dove andare e cosa fare. Sono un vissuto interno che non può essere ignorato; al massimo si può far finta di ignorarle, ma questo è il presupposto per l’insorgere dei sintomi nevrotici.

Ciclo del contatto

Nel mio lavoro di psicoterapeuta accompagno le persone a riconoscere ed esprimere i propri vissuti emotivi. In Gestalt utilizziamo l’espressione ciclo del contatto per definire un processo che vede il susseguirsi di diverse fasi:

  • cosa sento
  • cosa penso di quello che sento
  • cosa decido di fare rispetto a quello che sento e penso
  • cosa sento dopo averlo fatto (l’effetto che mi fanno le mie azioni)

Quando ci si arena su una di queste fasi, il contatto si interrompe e il processo non fluisce. Tali blocchi possono provocare malessere psicologico. In terapia è importante aiutare la persona ad osservare se stessa e facilitare la presa di contatto con le proprie sensazioni ed emozioni, in modo che possa dar loro una forma, un sapore, un senso. Riconoscere le proprie dinamiche interne è utile allo scopo di trovare modi di risposta e di azione diversi dai meccanismi abitudinari, divenuti evidentemente col tempo poco o per niente funzionali.

L’empatia

Dunque, come posso da psicoterapeuta stare in relazione con le persone e le loro emozioni? Con l’ascolto empatico.
Spesso l’empatia viene ridotta a capacità di mettersi nei panni dell’altro, ma in Gestalt è molto di più.
E’ un processo vivo che riconosce l’esistenza del terapeuta e del paziente, ognuno con il proprio mondo, la propria volontà, il proprio sentire.
E’ un com-prendere lo stato d’animo dell’altro creando allo stesso tempo una distanza tra l’io e il tu per evitare confluenze e identificazioni.

Il terapeuta non si limita ad ascoltare ed accogliere l’altro, bensì esiste come persona nella relazione con il paziente e questo permette ai due di non scomparire né di (con)fondersi.
Il paziente deve fare i conti con le informazioni professionali ricevute dal terapeuta, ma anche e soprattutto con l’effetto che al terapeuta fa il mondo interno del paziente.

L’empatia è dunque la capacità di immedesimarsi nell’altra persona senza perdere la consapevolezza di se stessi, comprendere l’altro nel proprio mondo e costruire con lui un mondo comune, una distanza abitabile.

 

 

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