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Invidia
Esiste un antidoto?
invidia

L’invidia è stata oggetto di studi di carattere religioso, filosofico e letterario per diversi secoli. La sua presenza nella vita quotidiana ha permesso a scrittori, pittori e artisti di farne la “musa ispiratrice” delle loro opere. Dal secolo scorso la psicanalisi, la psicologia e la sociologia hanno rilevato il ruolo di questo sentimento come causa di conflitti e lacerazioni, soprattutto nei rapporti interpersonali. E’ stata chiamata in molteplici modi: peccato, difetto, problema, vizio, patologia.

Tavola dei vizi capitali di Hieronimus Bosch

Cos’è l’invidia?

Con l’invidia abbiamo a che fare con una dinamica propriamente relazionale. “Perché lui/lei si e io no?” è la domanda sottesa, lacerante, che tormenta l’invidioso. Il bene dell’altro appare come uno scacco del proprio desiderio, una diminuzione del proprio essere. L’altro è sentito come minaccia verso la nostra identità. Si tratta di un sentimento relazionale e relativo. Il proprio bene o il proprio valore, sia esso materiale, spirituale o intellettuale, viene sempre misurato a partire da quello dell’altro.

Kant aveva perfettamente colto questo aspetto, descrivendo l’invidia come “un risentimento nel vedere il nostro proprio bene messo nell’ombra dal bene degli altri, dipendente dal fatto che noi sappiamo apprezzare il nostro benessere, non secondo il suo proprio valore interiore, ma soltanto secondo il paragone che facciamo con il bene degli altri”.
Dunque, l’invidia presuppone il confronto. Guardiamo l’altro paragonandoci alle sue qualità, proprietà, esperienze. E’ un confronto perenne, mai dichiarato, sempre celato nell’ombra. Come se manifestare l’invidia apertamente equivalesse ad ammettere la propria sconfitta o inferiorità nei confronti dell’altro.

Gli uomini non conoscono la propria felicità, ma quella degli altri non gli sfugge mai.
Pierre Daninos, Un certo signor Blot.

E’ così che l’invidia produce un effetto autoamnesico. Ti dimentichi di te stesso, perdi di vista la tua persona, compresi emozioni e desideri. Non stai in contatto con te stesso e diventa difficile in questo modo orientarti nel mondo. Tutto diventa paragone, confronto con gli altri. E l’invidioso ne esce sempre perdente. Ma non disperiamoci..

Esiste un antidoto!

Occorre sviluppare la capacità di autonomia. Un’autonomia che può venire soltanto dalla capacità di apprezzare e cogliere il senso della dignità del sé e della vita in tutte le sue forme. Non è una lotta, l’invidia non si combatte. Possiamo in primo luogo imparare dai greci, che non avevano remore ad ammetterla e che proprio per questo sapevano trovare possibili traiettorie per contenerla. Non si può combattere qualcosa se prima non se ne riconosce, senza ipocrisie né sotterfugi, l’esistenza.

Solo se riconosciuta, ammessa e confessata a se stessi, l’invidia può essere accettata, può diventare “digeribile”.

L’invidia descrive l’attrazione coatta per ciò che è irraggiungibile. La persona in tal caso può spendere tempo ed energia nel tentativo di raggiungere qualcosa di piacevole, per trovarvi immediatamente difetti non appena è a portata di mano. Addirittura, il bisogno di avere e il bisogno di rifiutare potrebbero manifestarsi simultaneamente.

L’equilibrio, la virtù dell’equanimità, è la soluzione alla sofferenza causata dall’attrazione per ciò che non si può avere e dal rifiuto di ciò che si ha. Come tutte le qualità superiori, l’equilibrio è vissuto nel corpo, e non soltanto pensato. Non si tratta semplicemente di immaginare come ci sentiremmo se fossimo soddisfatti. L’equilibrio deriva dalla capacità di fermare l’attenzione sul presente e di sentire che ciò che abbiamo ci basta.

L’incarnazione della virtù dell’equanimità inizia dal rafforzamento dell’auto-osservazione: nell’accorgersi quando l’attenzione si sposta nel passato o nel futuro, verso cose lontane o difficili da raggiungere. L’equanimità può essere sperimentata quando si è capaci di trovare appagamento nella situazione presente, dando attenzione alle sensazioni fisiche del momento. Quando smettiamo di paragonarci agli altri!

Farmaci per l’invidia

Elena Pulcini, nel suo libro Invidia, sostiene una sorta di strategia omeopatica per l’invidia, ovvero combattere le passioni con le passioni. Se questo fosse vero, quali passioni potremmo utilizzare davanti all’invidia? L’autrice spiega due possibili strade:

  • La prima, quella che invoca sentimenti buoni, costruttivi, edificanti, come l’amore, la fratellanza, la solidarietà. E’ spesso l’amore, nelle sue molteplici forme, ad essere indicato come il “farmaco” per eccellenza per l’invidia: la misericordia, la compassione, la gratitudine, l’ammirazione.
  • La seconda via è quella della competizione, la quale rifugge da ruminazioni rancorose e da segreti sotterfugi. Presuppone un confronto aperto e leale nel quale c’è più agonismo che antagonismo. Essa richiede, in altri termini, qualcosa che è quanto di più estraneo all’invidia, ovvero la capacità di mettersi in gioco, di esporre se stessi accettando anche il rischio dell’insuccesso e della sconfitta. Si potrebbe dire che l’invidia subentra proprio laddove le persone non sono in grado, o si rifiutano, di affrontare la dinamica competitiva, di lottare apertamente per qualcosa a cui tengono e si rifugiano impotenti nelle zone d’ombra dell’astio e del rancore.

Riappropriarsi della propria unicità

Dunque, è necessario che la persona torni a se stessa, ritirando la proiezione sull’altro e interrompendo la spirale del desiderio mimetico (ovvero desiderio mai spontaneo, ma sempre “desiderio secondo l’altro”). Serve riappropriarsi della propria preziosa e irriducibile unicità, poiché è in essa che risiede il senso e lo scopo di ciascuna particolare biografia. Per usare le parole del meraviglioso Erving Polster: ogni vita merita un romanzo.

Il piacere dell’invidioso sembra completamente compromesso, la capacità d’amare sembra compromessa. Ecco, è qui. E’ nel ritorno alla propria autenticità che risiede probabilmente l’antidoto più efficace all’invidia. La fedeltà a noi stessi può spingerci ad accettare e persino a valorizzare anche gli aspetti meno gratificanti e più scomodi della nostra personalità, in quanto nostri e soltanto nostri. Può spingerci a provare piacere e ad amare noi stessi, liberando allo stesso tempo l’altro dall’immagine distorta che si riflette nei nostri occhi invidiosi.

Come vede l’invidia fa parte della nostra vita di cosiddetti intellettuali. Ma col tempo passa. Da annichilente, l’invidia diventa fertile, diventa il riconoscimento e la gratitudine per chi è più bravo di noi. Lei deve ancora conoscere questo cambiamento”.
Stefano Benni, Di tutte le ricchezze.

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